Mafia, Informazione e Catania

Lettere al direttore dal 41 bis

Una lettera di Vincenzo Santapaola rompe le regole del carcere duro e trova piena ospitalità su "La Sicilia" di Mario Ciancio
15 ottobre 2008

Vincenzo Santapaola

Un tempo le lettere dal carcere erano quelle dei prigionieri politici, adesso sono quelle che arrivano da persone accusate di associazione mafiosa, estorsioni, rapine e traffico di sostanze stupefacenti. Il 9 ottobre scorso, il quotidiano "La Sicilia", che esercita un monopolio di fatto sull'informazione locale a Catania, pubblica una lettera di Vincenzo Santapaola, figlio del capomafia catanese Nitto, un testo che buca il regime di "carcere duro" sorprendendo la magistratura e la DIA grazie alla solerte ospitalità del direttore Mario Ciancio Sanfilippo.

Una lettera apparentemente povera di contenuti, dove Santapaola si descrive come "un uomo che vuole vivere una vita da uomo qualunque", ma prende le distanze da "altri che usano il mio nome in modo scellerato" e lancia messaggi a chi deve capire. Sul sito web catanese 'U cuntu, Giuseppe Scatà ha spiegato che quella di Santapaola non è una semplice lettera di un uomo qualunque, e la differenza si vede a partire dalle scelte redazionali: nessun taglio, cinquemila battute pubblicate dalla prima all'ultima parola. "le lettere pubblicate su La Sicilia - racconta Scatà - sono infatti molto più brevi, e hanno una pagina a parte. Il testo di Santapaola jr è invece pubblicato nelle pagine della cronaca".

Dalla redazione dicono che è tutto normale e che la lettera l'hanno ricevuta dagli avvocati, ma chi vive a Catania sa quanto sia difficile ottenere spazio sul giornale di Ciancio. Prima di essere sottoposto al 41bis, Vincenzo era già stato processato (senza conseguenze) assieme al padre (condannato come mandante) per l'omicidio del giornalista Pippo Fava, il fondatore del giornale "I Siciliani" che ha pagato con la vita le sue copertine sui "quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa" che a detta di Wikipedia "gestivano l'imprenditoria edile catanese (e siciliana) a cavallo degli anni settanta-ottanta": Mario Rendo, Carmelo Costanzo, Francesco Finocchiaro e Gaetano Graci.

La storia dei rapporti tra Ciancio e i Santapaola comprende anche altri episodi clamorosi. Come la volta in cui il giornalista de "La Sicilia" Concetto Mannisi è stato richiamato all'ordine da Ciancio in persona alla presenza di Giuseppe Ercolano, cognato di Nitto Santapaola e padre di Aldo Ercolano, condannato assieme a Nitto come organizzatore dell'omicidio Fava. La colpa di Mannisi è stata quella di aver usato in un articolo l'espressione "boss mafioso" nei confronti dello stesso Ercolano. Un rimbrotto di pubblica ammenda descritto anche dai magistrati di Catania negli atti dell'operazione antimafia "Orsa Maggiore".

Il figlio di Pippo Fava, Claudio, ha definito la pubblicazione della lettera di Vincenzo Santapaola come "un atto di subalternità grave, in violazione della legge che per Santapaola, come per il padre Nitto, prescrive l'assoluto isolamento carcerario. Ancor più grave - aggiunge Fava - perché si consuma grazie alle cortesie di un giornale siciliano, in una terra che ha già contato otto giornalisti ammazzati dalla mafia: uno di loro, certamente, per opera della famiglia Santapaola". Nel libro "La mafia comanda a Catania" Claudio Fava, oggi coordinatore nazionale di Sinistra Democratica, ha raccontato che "nell'ottobre del 1982, quando tutti i quotidiani italiani dedicheranno i loro titoli di testa all'emissione dei primi mandati di cattura per la strage di via Carini, l'unico giornale a non pubblicare il nome degli incriminati sarà La Sicilia. Un noto boss, scriverà il quotidiano di Ciancio, Nitto Santapaola, spiegheranno tutti gli altri giornali della nazione".

Quasi a colmare questo vuoto di memoria, oggi il nome Santapaola appare sul giornale di Ciancio alla voce "uomo qualunque", nel silenzio dell'Ordine dei Giornalisti e del Sindacato. Un silenzio stigmatizzato anche da Riccardo Orioles, storico collaboratore di Pippo Fava nella redazione de "I Siciliani". "Da vecchio giornalista che mai avrebbe immaginato un tale degrado della professione - scrive Orioles - faccio appello ai colleghi Lorenzo Del Boca e Roberto Natale, Presidenti Nazionali del nostro Ordine e del Sindacato: intervenite con tutti i vostri poteri su Catania! Difendete la nostra professione! Non lasciate soli i giovani che, con immensa generosità e a dispetto di tutto, qui impegnano le loro vite a fare un giornalismo di cui non vi dobbiate vergognare".

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